Britney Spears è una delle più grandi popstar del pianeta. Ed è anche una delle artiste più sottovalutate della storia della musica mondiale. Eppure siamo ancora qui a parlare di lei…
Se il mio blog si chiama “Piece Of Me” un motivo c’è. Seguo Britney Spears dal lontano 1998, anno di uscita del suo primo iconico singolo “Baby One More Time”, e continuo a venerarla come il fatidico giorno in cui le ho giurato amore eterno ascoltando l’album “Oops!… I Did It Again”.
Oltre venti anni di luci e ombre in cui le è successo praticamente di tutto. Dopo la terribile caduta del 2007, la rinascita del 2008 e la bolla di stranezza degli anni 2011-2021, Britney non è più la popstar consapevole, istintiva e rivoluzionaria che ha conquistato il mondo.
Da oltre dieci anni fa scelte a caso, è sgraziata sul palco, confusa in tv e non ha più voglia di fare quello che fa. Ma è davvero lei a prendere queste decisioni? E soprattutto perché, se non sta bene, non si ritira?
Framing Britney Spears: meglio tardi che mai
Chi segue Britney come me, sa benissimo che la Britney di un tempo ce la siamo giocata. Ma la speranza è dura a morire, soprattutto se parliamo dei fan dell’interprete di “Gimme More” e “Piece Of Me”.
Da tanti, troppi, anni speriamo in una sua rinascita… o perlomeno speriamo di capirci qualcosa in una realtà che, ancora oggi, sembra una brutta puntata di Black Mirror.
Ed è qui che entra in gioco Framing Britney Spears, il documentario prodotto da New York Times che ci aiuta a fare luce sulle tragiche vicende della popstar in questi ultimi dodici anni. Quello che emerge è il ritratto di un’artista a tutto tondo, non un fantoccio dipinto dai media, che sapeva quello che voleva. Lei era il boss e guidava la produzione musicale dei suoi album e dei suoi tour mondiali. Eppure i media ci hanno raccontato una fidanzata traditrice, una madre degenere e una pazza instabile per una serie di azioni sopra le righe che oggi sembrano la normalità su TikTok.
Ma sono proprio quei racconti ad aver messo a rischio la carriera, la sanità mentale e la custodia dei figli di un essere umano come tutti noi.
BLACKOUT: LUCI E OMBRE DELL’ICONICO ALBUM DI BRITNEY SPEARS
Britney: una dea troppo umana
Ci vuole fegato e fortuna per sopravvivere allo showbusiness. Tutti vogliono un pezzo del tuo successo. Tutti vogliono toccarti per sentirsi, almeno per qualche secondo, vicini a una dea. E ammetto di averlo voluto anche io: ho sempre sognato di incontrarla ma semplicemente per ringraziarla, con rispetto ed educazione, per tutto quello che mi ha dato attraverso la sua musica. E così è stato: quando l’ho incontrata a Las Vegas, le ho semplicemente detto “grazie per la tua musica” e me ne sono andato.
Ma Britney Spears non è mai stata rispettata. Framing Britney Spears ci mostra un accanimento disgustoso dei media in cui le tragedie di una ragazza poco più che ventenne trascendono in domande di un quiz show. Un’adolescente trattata come una sfascia-famiglie e una poco di buono per la storia finita con Justin Timberlake. Un’artista messa in gabbia da un padre che paga gli avvocati con il suo stesso patrimonio. Un uomo talmente preoccupato per il suo futuro da averle fatto produrre quattro album, tre tour mondiali, innumerevoli profumi e apparizioni televisive invece di puntare al ritiro dalle scene.
Ma torniamo al presente. Ancora oggi parliamo di lei. Il mondo si ferma al suo nome. E questo fa di lei la grande popstar, e non lo zimbello, che merita di essere. Ma quello che realmente vogliamo è sentire la sua voce, la sua versione dei fatti. E speriamo che questo Framing Britney Spears sia solo l’inizio della libertà che la principessa del pop ha sempre meritato come artista ed essere umano.