Dopo la battaglia legale con Dr. Luke è ufficialmente tornata sulle scene musicali Kesha.
Sembra passato un secolo da Die Young, il singolo di lancio dello sfortunato Warrior, l’album che ha avviato la lenta autodistruzione dell’irriverente (e sottovalutata) Kesha. Una metamorfosi kafkiana che ha trasformato l’interprete di C’Mon in una cantante irriconoscibile vocalmente e fisicamente.
Il problema non sono i chili in più ma lo stato di un’artista che non sembra più la stessa persona. Un dolore che emerge dalle parole della cantante, imprigionata in un “sogno orribile” da cui non riesce a uscire.
Praying, il singolo di debutto di Rainbow, il terzo album della cantautrice, è un trionfo di emozione lontano dalle scatenate hit a cui eravamo abituati. Una canzone scritta per chiedere aiuto. Ma chi è disposto ad aiutare la povera Kesha? Abbandonata dal suo mentore e dalla sua etichetta ed evitata da colleghi che fanno finta di non riconoscerla, Kesha è sola in un mondo in bianco e nero che non percepisce più i suoi colori. Eppure sette anni fa erano tutti ai suoi piedi, dal produttore Max Martin alla popstar Britney Spears!
Oggi Kesha vuole dimostrare il suo talento. Lo rivela una straordinaria canzone piano e voce che non scalerà le classifiche mondiali! E Rainbow, l’album in uscita il prossimo 11 agosto, farà la stessa fine! Le popstar non vendono più e neanche una Tik Tok 2.0 riuscirebbe a risollevare Kesha dalla spirale di distruzione in cui è capitolata. Ma cosa deve fare un’artista per uscire da un periodo buio? Fingere una rinascita come Britney Spears nel 2009 oppure mostrarsi per quello che è?
Nell’ipocrisia del mondo contemporaneo non c’è più spazio per i veri freak! Non parlo dei Monster costruiti a tavolino come Lady Gaga ma di artisti come Kesha imprigionati in un periodo buio senza fine.