I freelance dell’era moderna sono zombi. Creature che vagano per la città in cerca di articoli da spolpare e luoghi dove rifugiarsi. Ebbene sì, questa è la mia visione cupa e tenebrosa del giornalista contemporaneo. Dimenticate i film o gli show dove la parola freelance fa rima con “cool!”. La realtà è diversa dalla settima arte e, salvo rari casi, la maggior parte di noi lavora da casa o erra in cerca di un rifugio.
Tra lo scherno degli amici (“ti faranno male gli occhi per tutti i film che vedi”), il gatto che spalanca la porta e i vicini che bussano, decido di dare una svolta alla mia carriera. Mi ci vogliono sette anni per capirlo ma “quel” momento di ribellione arriva. Ormai mi sentivo come Roger Rabbit nella celebre sequenza “Col flit”. Accumulo, accumulo, accumulo e poi esplodo! Ma questo è un altro discorso, forse ci torneremo, forse no!
Dopo continui rinvii violento la mia pigrizia ed esco di casa. Borsa in mano, insalata di riso e pressbook di Life, lo sci-fi con Jake Gyllenhaal e Ryan Reynolds (i pressbook sono andati in estinzione ma fa figo scriverlo!). La prima tappa della missione di de-zombificazione è la Biblioteca Nazionale, uno di quei rari luoghi in cui non ci si sente a Roma ma in una capitale europea.
Immensa, scintillante e high tech (almeno per i standard italiani), la Biblioteca mi conquista. Sarà il mio nuovo ufficio? Si domanda un giovane (ormai mica tanto!) freelance che, dopo anni di isolamento nell’astronave-casa, si sente al primo giorno di Università. L’esperimento inizia con la recensione di Life, un film di cui salvo solo Calvin, un alieno in CGI che recita meglio delle due superstar di Hollywood (avrei usato un’altra terminologia ma la barriera mentale mi impone di scrivere in italiano).
Il lavoro procede spedito grazie al religioso silenzio, al wi-fi funzionante e agli occhi indiscreti che mi vietano di distrarmi con Spotify, YouTube, Facebook e altro. Un discorso che vale anche per il tempo: l’obiettivo di nove ore di “ufficio” inframezzate da un paio di break di non più di venti minuti è in dirittura d’arrivo. La concentrazione è al massimo e l’interazione umana aiuta a sentirsi meno soli… meno zombi.
Ma torniamo alla prima tappa di una serie di missioni che compirò in solitaria per consigliare chi, come me, vuole creare un confine tra lavoro e casa (se non la pensate così, datevi un po’ di tempo perché arriverà il vostro “Col Flit”). Come si può intuire la biblioteca è raggiungibile attraverso la fermata metro di Castro Pretorio che vi lascia davanti la sede. Dopo un lungo cortile verrete scannerizzati dal sistema come gli androidi di Ghost in The Shell. Avrete la vostra tesserina (che dovrete passare in entrata e in uscita) e guai a portare in sala un goccio d’acqua o la custodia del computer (sono andato al tornello con il termos di tè al limone e zenzero)! L’infrazione di queste regole riporta alla mia immaginazione gli alieni di Mars Attacks. O peggio, il Festival di Cannes dove, tra un film e l’altro, è proibito bere, mangiare, respirare…
Ma sono vivo anche senza questi “comfort”! Tralasciando i controlli ossessivi (per una volta che ci impongono delle regole, mi sembra giusto non trasgredirle), la de-zombificazione è riuscita. Ho fatto più di quello che dovevo fare e quando metterò piede in casa toccherò il computer solo per vedere qualcosa su Netflix.
A differenza di R, lo zombie di Warm Bodies, non dobbiamo mangiare un cervello umano per risvegliarci! Con tanta passione e forza di volontà, il freelance può trovare la sua redazione. O almeno, questo è l’obiettivo di The Walking Freelance!